Stile americano

DIBATTITO.

TEMA: La cosiddetta “‘americanata” è uno stile?

Mi si dice spesso che sono troppo severa nel valutare i film, di solito non tengo molto conto di questa opinione, però ieri la cosa mi è stata ripetuta da una persona che in quanto a gusti cinematografici è praticamente la mia identica fotocopia, per cui ho iniziato a pormi delle domande diverse per cercare di valutare la questione di cui parlavamo sotto un nuovo punto di vista di cui non avevo tenuto conto.
Il film in questione era Limitless di Neil Burger.
Questa persona mi ha fatto notare che quel che io considero una “cafonata americana” o “americanata” è – in qualche modo – uno stile: brutto, terribile, osceno, mediocre, facile, ma comunque uno “stile”. Io mi sono opposta a questa considerazione perché inizialmente non ho compreso cosa intendesse per “stile”. Ho confuso quel che voleva dirmi con “genere”, per cui gli ho risposto che non ero d’accordo poiché ci sono tanti film appartenenti al genere thriller/azione, anche americani, che non sono necessariamente così ammiccanti verso un pubblico mediocre. Allora mi è stato risposto: «Attenzione, non ho detto un “genere”, ma uno “stile”.» Infine ho capito: quel che voleva dirmi è che esistono diversi stili di film d’azione, sottocategorie di un genere, che vanno analizzate all’interno della loro categoria e non necessariamente in relazione globale con l’intero genere. Un po’ come dire: il carlino è una razza di cane brutta se valutata in relazione a tutte le razze di cane, tuttavia tra tutti i carlini ce ne può essere qualcuno più carino degli altri, motivo per cui va valutato in relazione ai suoi compagni di razza e non a tutta la specie canina. Film d’azione è la specie canina; gli stili possono essere i carlini, come i pastori tedeschi, i labrador e via dicendo.
Questa persona mi diceva che, in quando europei, noi abbiamo ricevuto un’educazione cinematografica – attiva o passiva che sia – di un certo tipo e che di conseguenza per quella parte di noi che possiede uno spirito critico competente, accettare una scena come la seguente è inaccettabile:
INQ. protagonista che va da uno scenziato: «Voglio che mi ricrei questa pillola in laboratorio.»
INQ. scienziato: «Ma è difficilissimo, ci vogliono 12 mesi, è praticamente impossibile!!»
INQ. protagonista: «Ti do 12 milioni di dollari se lo fai in 6 mesi.»
Primo piano della faccia sbigottita dello scienziato.
Primissimo piano del protagonista che fa un sorrisetto compiaciuto.
Stacco di musica e scena successiva in cui hai la sensazione che tutto stia andando secondo i piani e che lui sia un figo.
Tuttavia, se provassimo ad intregrare la cultura americana alla nostra e provassimo a immaginare di avere una visione d’insieme più vasta, valuteremmo in modo diverso il singolo film con questo determinato “stile”. Tutte metafore per dire che Limitless appartiene allo stile “coattata americana” o “americanata”, sottocategoria del “film thriller/azione”, e che in relazione all’intera categoria vale 4 o 5 al massimo, mentre in relazione al suo circoscritto stile “americanata” vale invece un 7, perché possiede comunque qualcosa di diverso.
Io ho chiesto al mio interlocutore di convenire con me che tuttavia questo “stile” è comunque globalmente pessimo, per cui la valutazione di un film appartenente a questa sezione è comunque alterata dalla condizione di base, vale a dire che si sta parlando di prodotti mediocri. Un po’ come dare una medaglia di riconoscimento a chi arriva primo nella gara dei perdenti: inutile. O no?
Per quel che mi riguarda trovo giusto il giudizio di un film in relazione al suo genere, poiché c’è tanto materiale cinematografico sulla piazza ed è giusto dividerlo in base a quel che il film vuole dire, a chi si rivolge, perché e per come. Su questa questione della sottocategoria e dello “stile” ho qualche dubbio. Per me se un prodotto è mediocre è mediocre, stile o non stile, carlino da mostra canina o carlino vagabondo proletario.
Voi come la pensate?

Info Il Cinema Bendato
Il Cinema Bendato cerca di sotto-porre l’attenzione su quel cinema che spesso viene messo da parte, che non riceve la giusta luce, che purtroppo non è facile da far raggiungere agli sguardi di un pubblico numeroso. Togliamogli le bende. Togliamoci le bende.

8 Responses to Stile americano

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  2. Serena says:

    Secondo me sì, è un genere, ma un genere trasversale… Mi spiego. L’americanata è caratterizzata dai fattori elencati su da Rita, ma è innegabile che il cinema-americanata, insieme con la spinta globalizzatrice, ha contagiato tantissimi altri Paesi, e secondo me (premetto che guardo tantissimi film, ma non ho l’occhio critico che avete voi, che invece ho per il teatro), dicevo, questo modo di fare i film ha contagiato quasi tutta l’Europa – mi chiedo: come si è potuti passare, in Italia, da avere un Gian Maria Volontè (volutamente cancellato dalla memoria artistica del nostro Paese ) a dover scegliere se andare a vedere un film con De Sica (figlio!) o Emilio Solfrizzi? Certo, mi direte voi, c’è la via di mezzo, ci sono quei piccoli cinema che proiettano film che per esempio questo blog recensisce, ma penso che non sono facilmente fruibili da gente comune che magari lavora tutto il giorno e non ha tempo di andare dall’altra parte della città a vedere quel film, e questo è anche un altro discorso, che comunque c’entra (la logica del multisala è un’americanata!). Ma dicevo: com’è possibile che da attori come G.M.V., ma anche Ennio Fantastichini, che è finito nell’ombra, si è finito a questo che abbiamo oggi, ossia il “cinema bendato”? Forse è perchè il nostro cinema deve rispondere alle logiche dell’americanata… ergo, e concludo, sennò rischio di mettere troppa carne al fuoco, sì, secondo me è un genere.

    P.S. oppure si potrebbe cambiare l’espressione da “stile americano” a “stile consumistico” (mi rendo conto che è pesante da sentire e dire, però secondo me rende meglio l’idea!)

    • Rita says:

      Certamente il cinema europeo si è dovuto omologare per poter essere concorrenziale sul mercato.

      Il cinema americano è essenzialmente un prodotto di consumo ma – come tale – anch’esso si suddivide in generi: commedia, thriller, drammatico, horror, storico ecc., che sono esattamente gli stessi generi che poi ritroviamo anche nel cinema europeo; a parte aggiungerei che poi il genere di per sé è solo un’etichetta, una semplificazione e riduzione aggiunta per far capire – a grandi linee – al pubblico, che cosa sta andando a guardare, ma spesso effettuata anche in maniere fuorviante o estremamente riduttiva (un grande film in genere riesce a riassumere più generi insieme, una commedia può anche essere interpretata come una tragedia, un thriller può anche essere storico, horror e drammatico ecc.).
      Per stile invece si intende una maniera di girare, di montare il film ecc., che è tipica e identificativa di un regista specifico: Kubrick aveva un suo stile riconoscibile, così come anche Hitchcock o Truffaut, per citare qualcuno dei grandi, e lo stile di un regista è immediatamente riconoscibile da film a film, è come un linguaggio, il linguaggio (filmico) personalissimo e specifico di un autore. Più si guardano film di un determinato autore e più si prende confidenza con il suo stile-linguaggio filmico.
      Per questo discutendo di film americani (di “americanate”), non parlerei né di genere, né di stile, in quanto, pur restando all’interno del giudizio “americanata” restano distinguibili stile e generi diversi.
      Ecco, ora che ci penso, l’americanata è un giudizio a posteriori, un’evidenza, una constatazione oggettiva, riscontrata dopo aver riconosciuto – in un film – determinati elementi, tematiche ed averle sapute riconoscere confezionati in una determinata maniera.
      I film americana sono opere di “propaganda”, più che opere intellettuali, in quanto si preoccupano di confermare determinati valori (o dis-valori) sociali.
      Propaganda più consumismo sfrenato. L’america in tutto il suo splendore :-(

  3. credo d’ aver capito il suddetto “stile”. è quello che roland emmerick definì “popcorn-movie”, ovvero finito il barattolo di pop corn… scomparsa pure qualsiasi traccia che il film avrebbe potuto lasciare nella memoria dello spettatore. insomma, il film come commento visivo adatto solo al rosicchiamento di granoturco espanso.
    credo sia in fondo l’ unico spirito con cui si debba assistere a questo genere di proiezioni. tutto il resto forse è davvero superfluo… anche se ritengo sia giusto ribadire ogni tanto l’assoluta inutilità intellettuale di tali visioni come hai fatto tu, benchè alcune siano effettivamente ben presentate.

  4. Rita says:

    P.S.:
    scusa, che forse poi alla fine ho scritto e scritto, ma senza concludere e sembra che sia andata fuori tema.
    Intendo dire che quindi più che di “stile” nel cinema americano io parlerei di logiche economiche, commerciali, industriali.
    Non si tratta di uno “stile” ma di una “confezione” che deve invogliare a vendere un prodotto. Si tratta di “packaging”, in questo senso.
    Ed è una “confezione” riconoscibilissima perché ormai è servita ad educare un preciso pubblico di massa ed è esattamente ciò che questo pubblico si aspetta e vuole vedere.
    Un prodotto “perfetto” tecnicamente, non uno stile, secondo me.

  5. Rita says:

    Bell’argomento di discussione!
    Io terrei presente questa considerazione: il cinema americano nasce proprio come “industria”, quindi come prodotto industriale, come business e quindi più attento alla riconferma di determinati valori insiti nella cultura americana piuttosto che ad una rielaborazione critica (com’è tipico invece del cinema europeo ed autoriale in genere).
    Essendo il cinema americano – ma distinguerei tra cinema hollywoodiano propriamente detto e cinema indipendente, che è comunque autoriale, penso a Scorsese, o Jarmush e molti altri) – un prodotto industriale, secondo la logica economica americana, deve essere fatto al meglio, cioè deve avere una confezione tecnicamente perfetta e non può permettersi di non abbracciare una grande fetta di pubblico, quindi deve poggiare su linguaggi narrativi e semantici raggiungibili da tutti, anche da un pubblico incolto e poco cinefilo (che è poi la maggioranza).
    Inoltre, come saprai, le grandi produzioni americane investono tantissimi soldi e quindi non possono permettersi di fallire, e per questo trattano il regista come fosse un mero strumento, impedendogli di avere slanci soggettivi, indipendenti, individuali ed imponendogli praticamente tutto, dal cast, alla sceneggiatura e soprattutto il montaggio.
    Ora, dovresti chiederti, cosa vuole un pubblico di massa? Al cinema vuole essenzialmente distrarsi, obliare quelli che sono gli argomenti considerati tristi, pessimisti, che possano indurlo ad uno stato meditabondo o riflessivo: quindi ci vuole sempre un “happy end”, non si deve parlare della morte, né della malattia, né dei disattati, né di altri argomenti crudi o tristi. O, se li si affronta, è sempre però all’interno di una visione consolatoria o accomodante.
    Si devono confermare determinati valori: la famiglia borghese, il matrimonio, i figli ecc.; e soprattutto c’è tanta tanta azione perché la cultura americana si fonda sul connubio di religione protestante-calvinista e logica utilitaristica: l’uomo di azione, che agisce, che fa, che è attivo, è colui che reca in sé il segno della Grazia Divina. Quindi azione, non rassegnazione, MAI rassegnazione.
    L’uomo americano è un uomo di successo, un uomo che non si rassegna, che alla fine vince o se perde ci ha comunque provato. La parola d’ordine è EFFICIENZA, quindi tanto profitto con il dispendio minimo di energia (la logica fordista). Quindi un primo piano, secondo questa logica, è meglio di un dolly.
    Il montaggio è piatto e frenetico perché le immagini devono sedurre, ammaliare, non dare il tempo di pensare.
    Ci sarebbe moltissimo altro da aggiungere ma ora sono di fretta, poi semmai aggiungo qualcosa in seguito.
    Ah, che bello poter parlare di cinema ;-)

    • Il tuo discorso è proprio la premessa interiore su cui fondavo poi il concetto di “americanata” e non c’è nulla di meno vero – purtroppo – di quel che hai scritto. Ricordo che già quando Hitchcock voleva assegnare un ruolo da “cattivo” ad un attore in voga al momento, la produzione glielo negò proprio perché il pubblico non avrebbe apprezzato quella scelta di “infangare” l’uomo/attore con delitti o chissà cosa. I cattivi poi all’epoca dovevano necessariamente avere i baffi, per distinguerli, per identificarli. Puoi immaginarti quanto ad Hitchcock sia andata stretta questa cosa, difatti fu proprio in un suo film, Blackmail, che per la prima volta il cattivo non portava i baffi: si inventò l’espediente dell’ombra del candeliere sulla faccia dell’uomo, in modo da creare dei finti baffi. Comunque, altra storia (legata a tutt’altro discorso), ma in fondo sempre dello stesso libro: “Produzione&Regia: aminemici”.

      Ad ogni modo sì, i vari elementi presenti nei film riconducibili a tutti i valori americani che hai elencato sono spesso senza dubbio un pacchetto imposto dalle produzioni più che uno stile registico. Tuttavia io continuo a chiedermi il regista dove sia e soprattutto QUANTO sia, in questo film per esempio. Con un film del genere si poteva senza dubbio riuscire a gestire il materiale in modo diverso e renderlo contemporaneamente sia facilmente vendibile, sia un prodotto di qualità. Faccio l’esempio di Nolan: lui è senza dubbio un maestro nel riuscire a combinare entrate al botteghino e qualità: in questo sa distinguersi, motivo per cui io lo apprezzo.

      • Rita says:

        Non ho visto Limitless, quindi non saprei dirti.
        Di Nolan posso dirti che è un regista che ho tanto stimato e tanto amato in alcuni film (Memento, Insomnia, the Prestige e anche Batman Begins – che pur essendo un film su un super-eroe ha comunque un taglio intimista ed esistenziale davvero bello), mentre ho trovato che la sua mano registica sia del tutto sparita – per assecondare la mega-produzione – in Il cavaliere oscuro e anche in Inception (spettacolo per gli occhi, inventiva visiva, ma con scarso approfondimento e spessore, sia dei personaggi, sia delle tematiche sottese).
        Un altro regista che trovo discontinuo – nei cui film talvolta il taglio autoriale è soffocato dall’esigenza di assecondare il botteghino – è Gus Van Sant.: bellissimi Elephant, Paranoid Park, Last Days, più didattico ed emotivamente vicino ad un pubblico di massa invece Scoprendo Forrester.

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