L’estate di Kikujiro


titolo originale Kikujiro no natsu
nazione Giappone
anno 1999
regia Takeshi Kitano
genere Commedia
durata 121 min.
distribuzione Bim Distribuzione
cast Y. Sekiguchi (Masao) • T. Kitano (Kikujiro)
sceneggiatura T. Kitano
musiche J. Hisaishi
fotografia K. Yanagishima
montaggio Y. Ota


Un rozzo delinquente adulto decide di accompagnare un introverso bambino di nove anni nel luogo dove vivrebbe la mamma, che il piccolo non ha mai conosciuto. I due viaggiano per il Giappone, tra imprevisti e incontri bizzarri. Una lezione di vita durante l’estate, per entrambi.


a cura di Serena Ganzarolli (voto 7,5/10)

Sul suo zainetto blu, il piccolo Masao ha attaccate due ali bianche. Corre, Masao, corre lungo il ponte: è estate, finalmente, tutti i suoi compagni lasciano la città verso le tanto meritate vacanze estive, ma il bambino vuole solamente incontrare la sua mamma.

Grazie all’incontro con uno strano signore tanto buffo e divertente quanto scorbutico, Masao intraprenderà un viaggio particolare, pieno di incontri, difficoltà, ma anche divertimenti, sulle note delle musiche di J. Hisaishi. E zainetto in spalla, si parte, alla ricerca di quella sconosciuta vista solo in una foto trafugata dal cassetto della nonna.

Quella di Masao, è certamente, una storia di quelle che si leggono nei giornali, come dice bene Il Poeta, ma è anche un esperimento: Kitano non ci mostra il caso umano, ma un bambino che deve affrontare delle difficoltà, e che, grazie all’aiuto di veri e propri personaggi che svolgono il ruolo di aiutanti, che compaiono proprio quando servono, come nei cartoni animati di Walt Disney, aiutano il bambino a capire se stesso e quello che gli è successo, facendolo divertire e riflettere.

E proprio questo sembra, L’estate di Kikujiro, un film sulla famiglia, sul suo senso più profondo: cos’è una famiglia? Solo un agglomerato di genitori e parenti? O forse è chi fa di tutto per te, quando stai male, anche travestirsi da polpo o da pesce volante e farsi pescare in un lago dove non ci sono pesci veri? Non sarà solo Masao, comunque, ad intraprendere questo viaggio verso la mamma, la famiglia, l’amore, in una parola, le cure. Sarà anche lo stesso Kikujiro, panciuto omone furbo e burbero, che dissemina il film di divertentissime gag, a trovare in Masao una piccola parte di sé, un sé di cui si è probabilmente dimenticato, ma… siamo così simili, io e te, dice Kikujiro a Masao ad un certo punto: eh sì, talmente tanto simili che l’estate è di Masao, ma alla fine è anche di Kikujiro: di lui non si sa niente, se non che ha un grosso tatuaggio sulla schiena che ricorda quelli che si tatuano gli appartenenti della yakuza. Il personaggio dell’uomo, si annulla quasi del tutto in quello del bambino come a voler percorrere un doppio viaggio, quasi come se il bambino che Kikujiro stesse aiutando non è nient’altro che se stesso, da piccolo.

Film da vedere per riscoprire il piacere di una storia semplicissima e straordinariamente profonda, una specie di fiaba (tant’è che la pellicola è divisa in capitoli) fatta film, costellato di trovate magiche e spiritose, e del ricorso, in certi punti, ai movimenti e alle metafore del teatro giapponese.