titolo originale To Rome with Love
nazione U.S.A. / Italia / Spagna
anno 2012
regia Woody Allen
genere Commedia
durata 110 min.
distribuzione Medusa Film
cast A. Baldwin (John), E. Page (Monica), W. Allen (Jerry), J. Eisenberg (Jack), P. Cruz (Anna), A. Pill (Hayley), G. Gerwig (Sally), R. Benigni (Leopoldo), O. Muti (Pia Fusari), J. Davis (Phyllis), C. Alt (Carol), R. Scamarcio (rapinatore), L. Calvani (giornalista), M. Alvarez, F. Parenti (Michelangelo), I. Ferrari, A. Mastronardi (Milly), V. Marchioni (Aldo), D. Comperatore, A. Albanese (Luca Salta), L. Sastri (amica al cinema), A. Tiberi (Antonio), C. Fortuna (Rocco), M. Rocco, M. Nappo (Sofia), E. Purgatori (Architetto)
sceneggiatura W. Allen
fotografia D. Khondji
montaggio A. Lepselter
uscita nelle sale 20 Aprile 2012
Un noto architetto americano rivive la sua gioventù; un borghese romano qualunque all’improvviso si trova ad essere la massima celebrità di Roma; una giovane coppia provinciale è attratta in incontri romanici separati; un regista di opera americano tenta di far salire sul palcoscenico per cantare un impresario di pompe funebri.
a cura di Alessia Paris (voto 5,5/10)
Vedere un film malriuscito di Woody Allen fa provare un po’ la stessa sensazione dell’andare a pranzo dalla nonna e accorgersi che la pasta che ha preparato è scotta. Inaccettabile, quasi… per non dire impossibile.
Woody Allen ha 77 anni e non so voi, ma io gli voglio un gran bene. Scrivere una recensione negativa su un suo film mi provoca fastidio e dispiacere. Un po’ come leggere un libro che ha scritto un caro amico, accorgersi che è mediocre e aver paura di dirglielo. Di certo non ho la presunzione di credere che gliene importi qualcosa della mia opinione, ma secondo la logica del mio rapporto univoco d’affetto cinematografico nei suoi confronti, scrivere male di un suo lavoro mi procura non pochi disagi e sofferenze.
Tuttavia c’è poco da fare, rimbocchiamoci le mani e parliamo di questo A Roma con amore.
To Rome with Love è una commedia corale senza una vera e propria trama unificatrice, il perno centrale è Roma – come ci dice la dedica del titolo stesso – e il racconto si articola sotto forma di una serie di racconti sconnessi tra loro che dovrebbero complessivamente formare il quadro di un tutto. Ma questa Roma è la Roma vista dai turisti, vuoi che siano americani in vacanza, vuoi che siano americani lì per studio o per lavoro, vuoi che siano italiani del sud che si comportano da provinciali, o vuoi che siano romani che non vivono Roma al pieno delle sue potenzialità (Roberto Benigni è sì un romano, ma è anche un romano “estraneo” a Roma, vittima della monotonia casalingo-lavorativa fin quando non diventa casualmente famoso).
La Roma da cartolina che Woody Allen ci racconta è una Roma fruibile per un pubblico americano, quel pubblico innamorato della fontana di Trevi, del Colosseo e della pizza e mandolino. Una Roma per quei turisti che si perdono nelle strade, che girano e rigirano la cartina tra le mani e non sanno da che parte andare. (Per uno che a Roma ci vive, l’idea di perdersi non fa ridere, ci può far ridere al massimo che qualcuno che viene da New York si perda per Roma.)
Quattro sono gli episodi principali:
Woody Allen e consorte che vengono a Roma per conoscere il futuro marito della figlia che ha deciso di sposare un italiano; Ellen Page (Juno) e Jesse Eisenberg (The Social Network) in un classico episodio vecchio stile – sicuramente il più riuscito tra i quattro – in cui l’amore tra una coppia stabile viene messo in discussione da una donna esuberante e nevrotica; Roberto Benigni e il suo diventare improvvisamente famoso senza motivo; e infine Alessandro Tiberi (Boris) e Alessandra Mastronardi (I Cesaroni) in due rispettivi episodi paralleli riguardo una coppia di giovani sposini di Potenza che viene a Roma per un colloquio di lavoro del marito.
E’ difficile riuscire a disegnare il quadro generale del film, perché l’intera pellicola è talmente satura di attori che spesso ci si perde – soprattutto per un pubblico italiano – nel gioco dell’ “oddio guarda chi è quello”. Ma forse questo è l’aspetto più riuscito e più divertente della pellicola, ovvero il riuscire a ricreare una confusione narrativa che ben rispecchia la caoticità tipica della romanità.
Ma se andiamo ad analizzare i singoli episodi, si fanno prepotenti più i difetti che le qualità della pellicola. Se le quattro idee che reggono rispettivamente i quattro episodi di To Rome With Love contengono una qualche forma di originalità, questa ben presto si perde e si rovina nello sviluppo narrativo. Ho riflettuto sui motivi che possono aver condotto a un tale disfacimento narrativo e sono arrivata alla conclusione che le cause principali sono due: la prima è sicuramente la qualità (scarsissima) attoriale e la seconda è la fretta (palpabile) con cui è stato partorito il film.
Riguardo le prestazioni attoriali, essendo l’episodio interamente americano (Ellen Page e Jesse Eisenberg) l’unico ad essere soddisfacente dal punto di vista recitativo, mi domando se il problema di fondo non consista nel problema della lingua di recitazione e nell’incapacità di Woody Allen di cogliere le sfumature degli attori italiani scelti per interpretare i vari ruoli. Difatti degli attori italiani pochi davvero si salvano. Non sono un’amante di Albanese, ma lui è forse l’unico, insieme a Benigni, che può venire escluso da questo discorso critico. Il personaggio di Alessandro Tiberi per esempio, è creato sul prototipo Woody Allen degli anni d’oro, il suo personaggio rispecchia chiaramente il profilo dei protagonisti dei classici woodyalleniani, senza tuttavia essere minimamente all’altezza. La stessa Alessandra Mastronardi è una ragazza molto graziosa e dal viso dolce che richiama simpatia, ma neanche lei riesce a rivestire i panni del suo ruolo, rendendosi parodia di sè stessa. Tutti gli altri personaggi collaterali sono terribilmente vanziniani e da commedia della vergogna.
Dal punto di vista della fretta palpabile di cui parlavo, faccio riferimento alle idee portanti dei singoli episodi. Ogni episodio ha infatti un’idea di base buona, che con la sapienza comica di Woody Allen sarebbe potuta diventare una fantastica idea. Invece il tutto resta sciapo, “scotto” come la pasta di cui dicevo all’inizio.
Alcune scene vengono prolungate senza motivo, alcune idee vengono gestite talmente male da farle assumere come più prevedibili di quanto non siano in realtà, il tutto condito con un montaggio davvero pietoso che aggiunge confusione là dove avrebbe invece dovuto fornire compattezza e risolutezza.
La nota dolente più grave del film inoltre, e in questo Woody Allen la passa liscia, è sicuramente il doppiaggio, forse il peggiore mai ascoltato negli ultimi anni, come forse solo i film con attori di nazionalità diverse sanno creare. L’inverosimiglianza, la macchinosità, la pura bruttezza del doppiaggio fa perdere almeno un 15% di gradimento al pubblico. Tuttavia mi sento in dovere morale di escludere Leo Gullotta da questa critica, che ha avuto l’arduo compito di doppiare per la prima volta dopo la morte di Oreste Lionello (il doppiatore storico di Mr. Allen) il regista e attore newyorkese. Se nella prima scena in cui compare Allen infatti, avvertiamo una “smagliatura” nella sua voce, col passare delle scene e col proseguire del film ci abituiamo subito e il trauma che personalmente tanto attendevo non è avvenuto, anzi.
Inoltre, spiegatemelo vi prego, come si fa a far dire in un film girato a Roma “devi superare due isolati per arrivare in via Tal de Tali”? Ah, i personaggi si trovavano a Piazza Venezia. Ditemi voi dove li hanno visti i traduttori questi due isolati. E poi, perché tutti gli attori americani parlano (nel doppiaggio, s’intente) in italiano perfetto, mentre un personaggio che interpreta un italiano (il marito della figlia americana di Woody Allen) parla l’italiano con accento americano? Misteri della fede.
In conclusione, è con l’arrivo degli anni zero che la filmografia di Woody Allen ha cominciato a subire quello che ormai è diventato un luogo comune: il singhiozzo qualitativo dei suoi film. Uno sì e uno no, si dice. Un film bello e uno brutto, si dice. Ma chi lo dice? Un po’ tutti… la critica, il pubblico, gli appassionati, i nostri amici, noi stessi.
E se Basta che funzioni era “sì”, Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni era “no”, Midnight in Paris era “sì”, c’è poco da fare… che To Rome With Love fosse “no” lo sapevamo da tempo. C’è chi scherzando dice che un film lo gira lui e quello dopo lo fa girare a qualcun’altro. Stando a questa “matematica previsione artistica” speriamo almeno che il prossimo sia di nuovo un convinto “sì”.
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